La manodopera servile nella Contea di Modica nel Cinquecento

Per una storia della schiavitù nella Contea di Modica

Gli “schiavi di pietra” raffigurati sul prospetto settecentesco di palazzo Beneventano a Scicli attestano la secolare presenza di manodopera servile nella Contea di Modica. Gli atti notarili offrono preziose testimonianze al riguardo, come nel caso  di Simone De Iacobo, uno dei più autorevoli notai attivi nel XVI secolo nel grande stato feudale degli Enriquez Cabrera.  Ecco alcuni rapidi esempi.  

Nell’ aprile  1553 il nobile Antonuzo Gilestro residente a Malta dichiara di aver ricevuto dal suocero come conguaglio della dote una giovane schiava «olivastra», che egli aveva assegnato al padre  Filippo a saldo di una somma ottenuta in prestito. L’ anziano genitore, tuttavia, decideva di “monetizzare” la serva di colore e si rivolge ai “magnifici” suoi amici di Scicli, Lorenzo Mirabella e Marco Gilestro, che riuscirono a venderla al nobile Giovanni Ficicchia al prezzo di 24 onze.

Nell’ ottobre del 1554 il “maestro” Antonino De Assenso di Modica cede all’identico  prezzo di 24 onze al barone di Renda, don Giuseppe Salonia, «uno servo negro per fuyasco, imbriaco et latruni»: evidentemente il valore di una donna in buona salute equivaleva appena a quello di un maschio malconcio e inaffidabile!  Gli atti del notaio sono una miniera inesauribile: aristocratici  in cerca di servitù, ricchi mercanti desiderosi di accrescere lusso e “commodità” nelle proprie residenze, artigiani alla caccia di garzoni ed aiutanti  sono alla ricerca continua di braccia  a basso costo, fino ad impegnare uno stuolo di mediatori e “procuratori” disposti dietro lucrose percentuali a girare per città ed isole per concludere buoni affari. Un’ intera economia nel Cinquecento risulta ancora condizionata dal sistema schiavistico. Le penose condizioni di vita spingevano talvolta  a fughe disperate: nel novembre di quello stesso anno l’ “honesto maestro” Giuliano Polito di Caltagirone dava incarico a un procuratore perché ricercasse a Modica un suo «servo negro» di nome Cristoforo acquistato per 21 onze dal nobile Ludovico Platamone, in modo da farlo arrestare ed ottenere il rimborso dal venditore. Ancora nel 1554 è la volta del mercante pisano Nicola De Vico, che per conto del fiorentino don Rodolfo Lotti gabelloto del feudo Dorilli vende tre cavalle e lo schiavo  di colore Antonio al prezzo totale di 38 onze   (uomini ed animali) al nobile modicano Giacomo Romano.

Non mancano però le operazioni di riscatto, come nel caso di un altro mercante “estero” di stanza nella Contea, Michele Urbist, che nel marzo del 1554 firma davanti al notaio l’ attestato di libertà personale e di concessione dei diritti civili al piccolo Zosimo di appena quattro mesi, figlio della sua schiava Isabella, dopo aver ricevuto 4 onze come cifra del riscatto dal padre naturale Giovanni Salvo. La “longue durée”  della manodopera servile caratterizzerà fino al tardo Settecento il contesto economico  dell’ area iblea: una storia sociale ancora tutta da raccontare.  

Uccio Barone