Il 19 maggio 1860 il modicano Giovanni Ciaceri, in una lettera indirizzata all’amico sacerdote Giovanni Assenza, scrive:
«Viva Vittorio Emanuele e fratelli Italiani
Questo è il motto del giorno (…) Giovedì dopo pranzo la bandiera tricolore girò per tutto il paese accompagnata dalla banda musicale e da oltre dodicimila persone che era una festa a vedere. Giovedì sera e venerdì mattina scoraggiamento generale, i compromessi spaventati perché, venuto freddo il sangue, si rifletteva che si era dato questo gran passo sopra punti d’appoggio mal sicuri, e non si sapeva cosa risolvere in tanto frangente. Ieri a mezzogiorno (venerdì) giunse un telegramma da Malta; scriveva Don Matteo Raele in questi sensi: Bravo, fratelli! Evviva! A Palermo fino al giorno quindici insurrezione un reggimento ha gridato: viva Vittorio Emanuele. Garibaldi con diecimila uomini è ad Alcamo, tutti corrono ivi, fra poco entrerà in Palermo. Si sta attivando la linea di Marsala dirigetevi per tutto con Garibaldi. Dietro questo avviso i nostri hanno pigliato nuovo coraggio, si son riuniti rappattumando alcuni partiti e questa mattina (sabato) si faranno i comitati. La polizia cessò. I compagni d’armi e gli sbirri furono disarmati, il sottointendente partì (…) Modica insorge ad imitazione di Noto e dopo l’esempio di Modica insorsero Scicli, Spaccaforno, Ragusa; Vittoria; Comiso, Chiaramonte ecc… non che Caltagirone, Castrogiovanni e Caltanissetta ecc…»[1].
Una settimana prima erano arrivate nel porto di Marsala le due navi garibaldine Piemonte e Lombardo. I Mille erano sbarcati e, conquistata senza colpo ferire la città, la mattina seguente si erano messi in marcia verso Palermo[2]. Il 15 maggio Garibaldi aveva sconfitto le truppe borboniche a Calatafimi ma non sarebbe entrato a Palermo prima della fine del mese.
In questi stessi giorni a Modica i liberali vivono con grande attesa e trepidazione gli ultimi sussulti del regime borbonico e i primi momenti dell’”età nuova”[3].
Fino a oggi abbiamo conosciuto ciò che accadde nella ex contea di Modica nei giorni della “gloriosa rivoluzione” soprattutto grazie al racconto di Filippo Nicastro[4] figlio di Luciano, tra i principali promotori del moto antiborbonico a Ragusa e al resoconto della rivoluzione modicana del 1860 tramandato dal nipote di Francesco Giardina[5], altro importante patriota antiborbonico
A questi importanti resoconti possiamo oggi aggiungere alcuni documenti di prima mano che, in tempo reale, danno notizia degli avvenimenti a Marsala e a Modica e dintorni. Ne è autore Giovanni Ciaceri, nato nel 1831 da Michele, futuro amministratore e sindaco facente funzioni durante la sindacatura di Carlo Papa (all’inizio degli anni ’70), compositore e padre del famoso storico Emanuele.
Pochi giorni dopo l’11 maggio la notizia dello sbarco era giunta anche a Modica, dove la sera del 16 maggio del 1860 i “maggiorenti” del movimento rivoluzionario si erano riuniti nella dimora di Antonino Livia per organizzare l’insurrezione per il giorno successivo. Fu allora che la bandiera tricolore, sventolata da Tommaso Linguanti, fu fatta sfilare per le strade della città con un corteo condotto da Francesco Giardina e accompagnato dalla banda musicale.
Le grida che inneggiavano all’unità di Italia e che elogiavano il re Vittorio Emanuele risuonarono ben presto anche a Scicli e a Ragusa, città che, insieme a Modica, si impegnarono per radunare un corpo di volontari diretti a Catania e poi a Palermo, con l’intento di incitare alla rivolta la città etnea.
Il racconto degli avvenimenti destinati a porre fine al governo borbonico prosegue, tra entusiasmo e preoccupazione, nei giorni seguenti, in una lettera del 21 maggio, preceduta da un tricolore disegnato e vivacemente colorato che, ancora in quel momento, è il vessillo di uno Stato straniero in guerra con quello del Regno delle Due Sicilie e, pertanto, passibile di denunce e di gravi provvedimenti nei confronti del suo autore:
«Caro Assenza,
(…) Si racconta che Garibaldi si trova in Monreale dopo aver battuto i regi nel primo incontro. Una squadra modicana di circa 80 persone comandata dai Sig. Calamenzana e Livia sventolando i tre colori, è partita questa mattina per Ragusa e di là per Vittoria, Comiso ed altri paesi del distretto, credo per animare i vicini e fare arrolamenti. Si aspettano 2000 fucili da Malta, comprati col denaro del Re, poiché qui si è principiato a mettere mano alle casse regie. La compagnia d’armi è stata riarmata, e messa ai servizi della nazione, stantechè i furti in campagna cominciano a farsi sentire. La commissione dei 35 scelti dal popolo si sta occupando della pubblica sicurezza. Quanto prima si sceglieranno i membri dei comitati cui affidare tutti gli affari del comune. Di Palermo, Messina e Catania nessuna notizia certa, d’onde nasce che qui si procede con molta lentezza, perché tutte le persone savie sentono a un tempo la necessità di mettersi alla testa degli affari e il timore di compromettersi. Finchè gli insorti non s’impossesseranno di Palermo, operazione definitiva, noi saremo sempre incerti e timorosi. Dato questo primo passo bisogna sperare che le cose vadano avanti perché la reazione sarebbe terribile»[6].
In queste lettere si coglie tutta la speranza e insieme l’incertezza di chi guarda da testimone e da attore partecipe ad eventi destinati a rimanere tra i momenti fondativi della storia dell’Italia unita. Ciaceri è tra quelli che tifano per il successo di Garibaldi e che si attivano per concretizzare in periferia il Risorgimento. Egli ha ben chiaro che nelle principali città siciliane il moto procede con lentezza a causa dell’oscillare delle “persone savie” tra due opposti e contrastanti timori: quello di “perdere il treno della storia” non ponendosi alla guida della rivoluzione e quello di “compromettersi” tagliandosi alle spalle i ponti nel caso di una eventuale restaurazione borbonica. Ma è anche pienamente consapevole del ruolo fondamentale avuto dai moti insurrezionali verificatisi in medie realtà urbane come «Modica, Scicli, Spaccaforno, Ragusa; Vittoria; Comiso, Chiaramonte ecc… non che Caltagirone, Castrogiovanni e Caltanissetta» nel processo di diffusione del sentimento di unità nazionale e di libertà che a esso si accompagnava e che contribuì al successo della spedizione garibaldina tanto quanto la mobilitazione delle maggiori città dell’isola.
Ciaceri, appartenente alla migliore borghesia modicana, insieme a molti altri, non ha dubbi e in quei giorni fa una decisa scelta di campo testimoniata proprio da quel tricolore dai colori ancora oggi vividi che sceglie di disegnare come introduzione iconografica alle righe che danno parola al suo patriottico e fervido entusiasmo per una unità da tanto tempo agognata e che stava finalmente per compiersi. Nella notte (alle ore 23) del 29 maggio Ciaceri riceve finalmente dall’amico Innocenzo (Fronte?) la notizia tanto desiderata:«(Gloria) Sul momento ci viene comunicato da Malta che entrò Garibaldi in Palermo il giorno 27 Maggio 1860 con 30.000 uomini, disfatta la truppa reggia (…) Un abbraccio»[7].
Giancarlo Poidomani
[Per gentile concessione di Giuseppe Ciaceri]
[1] Archivio privato di Giuseppe Ciaceri, Lettera di Giovanni Ciaceri a Giovanni Assenza, Modica 19 maggio 1860.
[2] F. Renda, Storia della Sicilia dalle origini ai giorni nostri, Volume II, Sellerio editore, Palermo, 2006, p. 952; G. Astuto, Garibaldi e la Rivoluzione del 1860, Bonanno editore, Acireale – Roma, 2011, p. 211.
[3] Sul Risorgimento negli Iblei vedi G. Barone, Le città iblee dai Borboni all’Unità d’Italia, Banca Agricola Popolare di Ragusa, Ragusa 2011.
[4] F. Nicastro, Luciano Nicastro e Ragusa nella rivoluzione del 1860, Tipografia Di Stefano, Ragusa, 1921.
[5] V. Giardina, La Rivoluzione del 1860 in Modica, contributo alla Storia della rivoluzione Siciliana, Tipografia Maltese, Modica, 1910.
[6] Archivio privato Giovanni Ciaceri, Lettera di Giovanni Ciaceri a Giovanni Assenza, Modica 20 maggio 1860.
[7] Archivio privato Giovanni Ciaceri, Lettera di don Innocenzo, Modica 29 maggio 1860.