Il Collegio dei Gesuiti, a Scicli

Il presente saggio è stato pubblicato da Il Giornale di Scicli (Anno XLIV, n. 7, 5 luglio 2020), che ringraziamo per aver concesso la riproduzione su Archivio Storico Ibleo.

Il Collegio dei Gesuiti sin dalla sua istituzione, nel 1631, fu parte importante della storia culturale e sociale di Scicli, essendo stato, tra le altre cose, una delle prime scuole pubbliche della Sicilia post-medievale. Della storia di questa importante istituzione si sono occupati, tra gli altri, l’erudito Antonino Carioti (Carioti 1994), Alfio Crimi (Crimi 1979) e
in particolare Guglielmo Ferro e Luigi Scapellato nel Notiziario Storico di
Scicli
(Ferro, Scapellato 1998) e ne Il Giornale di Scicli (Ferro, 1991); di recente anche lo scrivente con Giuseppe Nativo, e con Stefania Fornaro per la collana ‘Studi Storici’ di Carocci Editore (Micciché, Nativo, 2019; Micciché, Fornaro 2018).

I personaggi determinanti per la fondazione del Collegio sono quelli di don Giuseppe, del figlio don Vincenzo Micciché e di don Girolamo Ribera, che finanziarono l’istituzione fornendo ai Gesuiti i fondi necessari.

Com’è noto a chi conosce la storia della città, il 23 agosto 1623 il giovane don Vincenzo Micciché, unico figlio di Don Giuseppe, oramai in
punto di morte, istituì erede universale il padre perché dopo la sua morte
impiegasse la cospicua eredità che egli aveva avuto dall’avo materno Giuseppe Melfi in opere pie e in particolare con l’obiettivo di fondare a Scicli un Collegio Gesuitico. Alla sua morte, don Giuseppe, con testamento olografo dell’11 settembre 1630 dispose: «in esecuzione della volontà del fu mio figlio don Vincenzo Micciché, nomino miei eredi universali i Padri della Compagnia di Gesù». Quindi dava obbligo a tutti i suoi futuri eredi di fondare un Collegio, conforme alle Regole di Sant’Ignazio, come si legge agli atti del notaio Vincenzo Aparo del 13 maggio 1631 (cfr. gli studi sul testamento a cura di Paolo Nifosì in Nifosì 2019, pp. 6-7; Micciché, Nativo 2019, pp. 34-39) – e in un codicillo aggiungeva l’obbligo di istituire «le solite
scuole di Grammatica e Logica, nonché le scuole di Filosofia e di Sacra
Teologia» (Ferro, Scapellato 1998, p. 76; corsivo nostro).

La scuola pubblica a Scicli nasce dunque nel 1631.
Il collegio degli studi vede la sua fine, invece, già nel 1767, con la
“cacciata” dei Gesuiti (come acutamente nota Crimi), anche se formalmente
continuò per poi estinguersi definitivamente nel 1860, con l’Unità d’Italia.
L’istituzione di questa scuola, però lasciò il segno ispirando successivamente l’idea di dedicare agli evergeti la moderna Scuola media G. Micciché.

Interessanti notizie sul Collegio le fornisce Alfio Crimi (Crimi 1979, con una nota storica in quarta di copertina del libro pubblicato da ‘Il Giornale di Scicli’, scritta dallo storico Luigi Scapellato). Crimi inizia il suo studio sul
Collegio degli studi a Scicli con queste parole:

L’anno 1818 segnava una data importante per il Collegio degli studi di Sicli, che entrava nella terza fase della sua lunga storia. La prima fase, aperta l’11 settembre 1630 dal testamento del fondatore, il nobile don Giuseppe Micciché, aveva qualificato gli anni di mezzo tra i due secoli, il
XVII e il XVIII, come un periodo memorabile nelle vicende della città di
Scicli; e si era conclusa, nel 1767, al momento dell’espulsione dei Gesuiti.

Crimi, per la sua ricerca, prende spunto da una fonte importante, l’opera del padre gesuita Emmanuele Aguilera S.J., Provinciae Siculae Societatis Jesu Ortus et Regesta (Aguilera 1740, pp. 265-67 e 503-504) che fornisce ulteriori notizie utili per comprendere la sua realizzazione dell’opera che fu possibile anche grazie al determinante apporto,
nel 1648, delle rendite di un altro generoso e illuminato nobile sciclitano,
don Girolamo Ribera.

L’Ortus et Regesta di Aguilera, tra l’altro riporta pagine utili a chiarire i rapporti tra i Gesuiti da una parte e Giuseppe Micciché e Girolamo Ribera dall’altra, in particolare per quanto riguarda gli inizi effettivi della scuola, nel 1693. Ne riportiamo alcuni significativi stralci (per approfondimenti cfr. Ferro, Scapellato 1998; Ferro 1991; Micciché, Nativo, 2019):

Referenda sunt ad hunc annum [1693] Collegii Siclensis initia. Est Siclis elegantissima Civitas, Saracenorum Saeculis longe vetustior,
quae ex Casmenae Syracusanorum Coloniae vastitate ortum duxisse perhibetur. […]
Sane singularis haec Patriae caritas condendo Siclensi Collegio aditum
patefecit. Quam enim Josephus Micicheus Eques Siclensis, senex et orbus peregre aput hospitem divensaretur, et de Siclensis Civitatis gloria praedicaret, numeraretsque ejus decora et ornamenta; rogatus est, numquid esset in ea constitutum Societatis domicilium. […]

Ea exprobatio Micichei animum ita perstrinxit; ut ex eo tempore Societatis curam conceperit, et ad exitum strenue perduxerit. Veritus tamen ut domesticum patrimonium consilio sufficeret, tanti enim non censebatur,
ut idoneum Collegio censum impleret, consuluit clarissimum Juris Doctorem, illustrem ea tempestate causidicum; Hyeronimum Riberam popularem suum, putaretne tam insigne opus aggrediendum, quod avita hereditas explicare non posset, ex qua nonnisi aurei mille annui perciperentur?

Cui Ribera, Audendum est, inquit, et inchoandum. Quod si gentilia facultates tante molis negotium complecti nequeunt, quidem tua legam vestigia, et domesticum congeram Patrimonium, cudus accessione justi Collegii censum coalescere necesse est.

[…]

Ribera vero, qui Josepho Micicheo consilii auctor fuerat, seque adjutorem futurum receperat, quum annos duodeviginti superstes fuisset, fide summa promissis stetit: nam XII Cal. Octob. Anno 1648, suprema valetudine affectus, exasse haeredem testamento Siclense Collegium nuncupuit, cui, qui praeerat P. Simeon Bonus Politiensis, Ribera IV Cal. extincto, haereditatem addixit Calendis Octobribus, atque ejus beneficius duplicatus est Collegii census, nam questimatione facta, cognitum est, aureorum XX millia ad nos pervenisse, ex quibus milleni quotannis redirent, praeter XII, aureorum millia, quae in Scriniis ejus reperta, ad amplissimam aedificationem insitutendam, sunt erogata.

Sed anno 1633, Angela Maja, P. Bartolomei Soror, aureos
bis mille Collegio legaverat, qui perpetuum essent pecuniae caput, ex quo annui centum Bibliothecae redirent. Ad haec Vincentius Aparus quingentos supra bina millia testamento contulit, praeter quotidianem sacrificium, sacra suppellex augeretur.

[…]

Itaque jam ab anno 1630, Josephus Miccichaejus nobilis
Siclensis, amissis liberis, non aliter orbitatis solitudinem sublevare se posse
agitabat, quam si filium sibi adoptaret caetum aliquem religiosorum hominum, et praesertim Societatis, cujus operam adeo utilem, assiduam, et salutarem finitimae Civitates Naeaetina, et Mutycensis experirentur. Communicat ea dere cum Hieronymo Ribera populari suo, ordinis senatorii, cujus pater Matthias, summo genere in Hispania natus, et militum tribunus, urbanas Siclensium copias, et ordines, magister equitum duxerat, ibique consederat.

Ribera, qui forte eadem volvebat animo, ut postea compertum est, Societatem maxime probat et subverenti Miccichaejo, ut opers ejus instituendo Societatis Collegio pares essent, ac repulsam metuendi, auctor
fuit, ne a consilio desisteret, recepitque, non defuturos deinceps, qui primos
ejus conatus imitarentur, et propositum adjuvarent; modo ipse inciperet, sesque ducem praeberet. Ea dere dum,  aetate jam gravis, diu, multumque accurate deliberat Miccichaejus, morbo occupatus, supremum sibi impendere diem intellegit, neque diutius cunctandum statuit.

[…] Scribae tradit, et tertio Idus Majas, anno 1631, summum vitae tempus explevit. Sed P. Raphaël Sergestus Chius, qui eodem die, ex proximo Naeaetino Collegio, Joannis Jacobi Alexandri missu, Siclum venit et cernendam haereditatem, qua e vestigio potitus est, utcunque maturaverit, vivum assequi non potuit.

[…]

Neque vero Miccichaeii patrimonium repertum est adeo pingue, et  fructuosum, ut justi Collegii censum attingeret, quin annui fructus, qui ex eo redirent, quotannis collocarentur. […]

Sed diuturni temporis beneficium antevertit Hieronymus Ribera, qui quod conslium petenti Miccichejo fore pradixetat, ipse praestitit: nam quum hoc anno Josephum, natu jam grandem filium, et unicum luxisset, eo vix elato, Siclense Collegium ex asse haeredem appellavit census locuplentissimi, et paucos post dies a condito testamento, filii desiderio e vivis abiit, proe Calendas Octobres, et postridie ornatissimo funere est tumulatus.

[…]

Nel documento vengono ampiamente vantati la munificenza e l’opulenza di Micciché e del barone Ribera che generosamente lasciarono i loro beni al Collegio della Società dei Gesuiti, e in particolare si loda anche la generosità di Angela Maja, sorella del P. Bartolomeo SJ che aggiunse somme nel
1633 e la munificenza del notaro Vincenzo Aparo che pure legò somme al
Collegio. Si citano, tra gli altri, alcuni esponenti della Compagnia di Gesù
che furono direttamente coinvolti, come P. Giovanni Giacomo Alessandro SJ, di Messina, P. Raffaele Sergesto SJ e P. Simeone Buono Politiense SJ. Si evidenzia, inoltre, da un lato la specifica volontà di Giuseppe Micciché era
che anche questo collegio – come opere nella chiesa di San Bartolomeo e nel
Convento dei Cappuccini – venisse dedicato a Maria SS. Immacolata, cui erano molto devoti lui e il figlio, e dall’altro il determinante apporto del Ribera, lodato perché «forte eadem volvebat animo» e generosamente si unì al Micciché per finanziare e promuovere la fondazione del Collegio.

Quanto alle vicende del Collegio stesso, le notizie sono
poche per i primi decenni, ma si hanno più dettagli per le vicende dei due
secoli a venire. Alfio Crimi informa che nel 1779 vi furono istituite tre
cattedre: grammatica, retorica, filosofia e matematica, come deciso dalla
Deputazione agli studi di Palermo.
Nel 1818 si avevano ancora tre cattedre – dotate di un ‘soldo’ di 72 ducati per le maggiori e di 60 per quella di grammatica – e tre insegnanti, tra cui
figurano Don Antonino Celestri, docente di filosofia e matematica, a lui più
tardi si unirono l’arciprete Don Francesco Lupo e il sacerdote Don Saverio Lupo, che insegnavano retorica e grammatica. Celestri venne poi sostituito da P. Agostino Ferrara, reggente del Convento dei Padri Carmelitani Riformati di Scicli. Vi insegnò pure P. Giuseppe Iacona Catalano (cattedra
di retorica).

Molto prodigo nei confronti del Collegio fu anche il barone
Benedetto Spadaro, che difese la scuola anche come deputato e ispettore
scolastico. In una apposita commissione per la tutela della scuola, con lo Spadaro operarono Don Giuseppe Peralta e Don Bartolomeo Bonelli.

Successivamente la cattedra di filosofia e matematica –
anche per varie resistenze e ostracismi senza fondamento del Decurionato che governava Scicli e per la gelosia di alcuni nei confronti della famiglia Lupo – venne sostituita con un’altra, meno importante, di ‘Umanità’. Per questo il P. Agostino Ferrara rifiutò sdegnosamente di insegnare “umanità” (in effetti quella era formula vaga e palesemente sprezzante) e dopo concorso la cattedra venne assegnata invece al barone Ignazio Santocanale,
il 12 febbraio del 1827.

Un avvenimento importante si ebbe nel 1828, il 9 maggio, quando
nel Collegio fu stabilita una ‘Scuola lancasteriana’, nonostante la solita opposizione del Decurionato e di alcune famiglie nobili un po’ invidiose, come detto, della famiglia Lupo da cui provenivano ben tre chierici insegnanti della scuola. Si trattava di un tipo di insegnamento
innovativo in cui i (pochi) maestri si facevano aiutare da alunni tra i più
bravi ad insegnare ai meno dotati o ai più giovani, un esperimento moderno ed interessante dal punto di vista pedagogico, come sottolinea anche Crimi.

Nel 1829 Giuseppe Peralta, a ottant’anni, lasciava la cattedra e veniva sostituito da don Guglielmo La Rocca, duca di San Lorenzo. Lo stesso anno morì pure il barone Santocanale, precettore di umanità. Nella scuola subentrarono quindi don Diego Lupo e dopo di lui il canonico don Melchiorre Lupo.

Nel 1833 morì don Francesco Lupo, e questa fu una notevole
perdita per il Collegio cui egli aveva dato lustro e una notevole impronta
personale. Suo successore fu P. Marcellino Mostaccio,
reggente dei Padri Carmelitani Riformati di Scicli; un personaggio di spicco e notevole intelligenza: a trent’anni appena veniva descritto come «assai probo ed abile» e «di soda preparazione accademica».

Il pubblico Collegio aveva un discreto numero di studenti,
per allora, con punte di 50-60 allievi, nonostante la concorrenza di scuole
private, tra le quali nel 1838 si ricorda quella dei Padri del Convento di San
Domenico, Raimondo Manenti, Tommaso Carnemolla e
Domenico Giavatto, precettori molto brillanti e seguiti; poi vengono citate quelle in cui orbitavano don Giovanni Addamo e don Salvatore Marino.
Un notevole fermento culturale in cui il Collegio spiccava come la più
importante scuola di Scicli.

La scuola pubblica ebbe altri insegnanti famosi come don
Francesco Carrabba, don Giuseppe Barone e il carmelitano Eliseo Arrabito, ritenuto «il miglior maestro del tempo». Ma, come tutte le belle storie, anche questa della scuola lancasteriana e del Collegio dei Gesuiti a Scicli finì già prima del 1860, anche perché si ritenne che la loro funzione storica era
terminata. A noi sembra opportuno ricordarne le vicende e con esse ricordare i protagonisti che lasciarono un’impronta decisiva nella storia e nella cultura di Scicli, orbitando attorno alla Compagnia di Gesù.

Salvo Micciché

 

***

Bibliografia (References)

Aguilera Emmanuele (1740), Provinciae Siculae Societatis Jesu Ortus et Regesta, vol. II, Panormi, 1740

Carioti Antonino (1994), Notizie storiche della città di Scicli, manoscritto consevato presso la biblioteca “C. La Rocca” di Scicli, edito a cura di Michele Cataudella, Scicli, ed. Il Comune di Scicli, luglio 1994

Crimi Alfio (1979) , L’istruzione a Scicli nel periodo borbonico, Scicli, Il giornale di Scicli, 1979

Ferro Guglielmo e Scapellato Luigi
(1998)
, contributi in «Notiziario Storico di Scicli», I-IV 1998

Ferro Guglielmo (1991), I Gesuiti a Scicli, in «Il Giornale di Scicli» del 22 settembre, 3 ottobre e 3 novembre 1991

Micciché Salvo, Fornaro
Stefania
(2018), Scicli. Storia, cultura e religione (secc. v-xvi), Roma, Carocci Editore, 2018

Micciché Salvo, Nativo
Giuseppe
(2019), La Sicilia dei Micciché, Roma, Carocci Editore, 2019

Nifosì Paolo (2019),
Il testamento di don Giuseppe Micciché, in «Il Giornale di Scicli», anno xliii n. 5 del 7 aprile 2019, Scicli 2019