«U tirrimotu ranni» nell’‘Osservazione’ di Paolo (Silvio) Boccone

Il terremoto che dopo la prima forte scossa del 9, alle ore 13:30 circa dell’11 gennaio 1693 con la sua Magnitudo Momento pari a 7.41±0.15 Mw causò la distruzione di buona parte dei centri abitati della Sicilia Sud-Orientale e ne decimò la popolazione, mietendo circa sessantamila vittime, è un fatto storico di tale portata da rappresentare, di fatto, uno spartiacque fondamentale per le vicende del versante orientale della Sicilia: quella tragedia segnò la conclusione del “secolo cristallino” e dalle sue macerie fiorì quel paesaggio architettonico Tardo Barocco unico al mondo, dal 2002 riconosciuto dall’U.N.E.S.C.O. nella sua World Heritage List.

Tra le testimonianze coeve, si riporta qui un estratto dall’Osservazione Seconda “Intorno il Terremoto della Sicilia, seguito l’anno 1693.” de il MVSEO DI FISICA E DI ESPERIENZE di Paolo (Silvio) Boccone, edito a Venezia nel 1697; di origini savonesi, religioso ed erudito di fama internazionale con spiccati interessi per la botanica e le scienze naturali, egli nacque a Palermo nel 1633 e morì ad Altofonte (PA) nel 1704. Nella medesima Osservazione – che è dedicata al suo contemporaneo Lord John Vaughan (terzo Conte di Carbery nella contea irlandese di Cork, governatore di Giamaica dal 1675 al 1678 e Presidente della Royal Society di Londra dal 1686 al 1689, dunque precedendo di pochi anni il ben più noto ed illustre scienziato Isaac Newton che rivestirà la stessa carica dal 1703 al 1727) – lo stesso Autore afferma che «[…] hoggi […] corrono li 10 di settembre 1694», fornendo così alla stesura delle sue parole una datazione precisa e dunque immediatamente successiva al tragico sisma.

Paolo (Silvio) Boccone

«[…] Due furono i Terremoti horrendi in queste parti l’anno 1693. à 9. Gennaro ad hore cinque in circa della notte seguente, che dessolò quasi tutti gli edificij di Campagna, fra quali correa vn gran numero di altissime, e robustissime Torri, & altri Casamenti di mezzana altezza; demolì in gran parte la Città di Catanea, & altre Città, e Terre di questo Val di Noto, e conquassò molti edificij di questa Città di Siracusa senza alcuna ruina, a questo non precedette alcuno effetto, ne meno la solita offuscazione dell aria, ma vna placida Serenità, e qualche giorno di caldo più sensibile d’ogn’altro tempo, per essere di Gennaro, e fuori di staggione, però non hebbe dello straordinario, né dell’eccessivo […]

L’altro fù alli 11. del medesimo Gennaro ad hore 21. in circa, questo fù stupendo oltre la considerazione umana, di durata in circa quattro minuti con fieri dibattimenti, e di tanto risalto, che non era possibile mantenerli chiunque in piedi acceppato con le piante in vn’medesimo luogo senza far moto, e chi si buttò a Terra con tutto il corpo, fù portato dalle scosse da vn luogo all’altro, strisciando il Terreno, e s’intendeva spingere al moto contrario, come tirato a forza, ò portato dall’onda, nuotando, e con maggior violenza.

Il Mare nelle parti dov’era aperto si ritirò considerabilmente, esse parti, & altri seni rinchiusi a proporzione.

In molte contrade si apprì la Terra, formando fissure lunghissime, e larghe dove vna aperta di Mano, dove poco più, e dove fece voragini nelle parti bassissime mezzo palmo, dà dove scaturì l’acqua, in abbondanza, inondando grande spazio di Terreno; e chi si trovò vicino à queste aperture intese spirare il fetore del Zolfo.

[…]

Nella Città di Noto per spatio circa mezzo miglio vi è vna selcciata per commodità delle Cavalcature, la quale hoggi si vede subbissata, e tutta intiera appesa ad’vno de’suoi lati, come vn Muro quasi alla dritta, & vn’altra più innanzi alla salita, chiamata del Durbo, si aprì in tanta larghezza; che si inghiottì nell’hora del Terremoto vn huomo a Cavallo, dove morì.

Dalle Montagne si distaccarono rupi smisurate per tutto, queste nella Terra di Sortino, habitata da sei mila anime furono cagione, rotolandosi per le case, che le stavano sotto, di recare la morte a gran quantità di persone.

[…]

In ogni parte abbissarono infinite grotte fatte ò dalla Natura, ò formate dall’Arte per vso, e commodità degli huomini, ò per ricetto degli Animali.

In Siracusa, & altri luoghi di Marina in molti Pozzi, che haveano l’acqua salsa divenne dolce senza, che sin’hoggi havesse mutato di qualità, ondesene vagliono a tutti gli vsi, & anco del bere.

Il Fonte Aretusa nella medesima Città per alcune settimane mandò le sue acque tanto salmastre, che li cittadini non sene poterno seruire, & hora, che sono addolcite, restando alquanto salate però assai più abbondanti.

In molti luoghi, ancorche piani, risaltarono mura altissime, lunghi da pedamenti due, e più passi, lasciando libero, e netto delle rovine quello spatio, come fossero state spinte a viva forza, e due striscie, ò lenze di muro in Siracusa vno saltato nella maniera inferita, restò in piede lontano del pedamento, & vn’altro distaccandosi dal muro compagno, che ambi constituivano due lati d’vna Casa Terrana, voltò in tal forma, che fece l’angolo al rovescio, e restò alla diritta con maraviglia di chi l’osserva per la stravaganza dell’accidente. […]»

In questa sua Osservazione, per dare la misura della straordinaria violenza del sisma, Boccone cita anche i danni ingenti subiti dagli edifici già a causa del terremoto precursore del 9 gennaio: nulla a confronto di quanto di «stupendo oltre la considerazione umana» sarebbe poi accaduto appena due giorni dopo, quando le forze scatenate sarebbero state tali da impedire alle persone di restare ferme sui propri piedi, trascinando persino lungo il pavimento chi si fosse sdraiato per ripararsi. Significativa la descrizione di alcuni fenomeni naturali tipici delle magnitudo più elevate, come il ritirarsi delle acque marine verso il largo – indizio questo del formarsi di uno tsunami – l’apertura di voragini emananti vapori sulfurei e con la fuoriuscita di acqua dal sottosuolo (a tal proposito, viene citata la contrada netina del Durbo, ove una voragine creatasi lungo una strada avrebbe causato la morte di un uomo a cavallo), frane e, ancora, la contaminazione delle sorgive vicine al mare, come nel caso della Fonte Aretusa, le cui acque a suo dire, ancorché raddolcite, risultano essere ancora più salate che in precedenza (come sottolineato, egli scrive poco più di un anno e mezzo dopo i fatti).

Testimonianze come questa qui riportata, non solo raccontano della drammaticità di quell’evento, ma forniscono indizi utili per ricostruire il paesaggio storico precedente il sisma in un secolo fondamentale quale fu il XVII.

Daniele Pavone