Al tempo del coronavirus del XXI secolo merita di essere ricordato il medico ragusano Giuseppe Carbonaro (1800-1858) , la cui fama di infettivologo due secoli prima superò i confini del Regno delle Due Sicilie per le sue ricerche sperimentali e per le terapie di contrasto alle epidemie di colera e di “peste asiatica”.
Figlio del notaio Carlo, il giovane Giuseppe ebbe il sostegno economico del marchese Schininà di S. Elia per laurearsi a Palermo e specializzarsi a Parigi. Esercitò per qualche anno a Ragusa e a Modica dove ebbe come maestro l’ anziano Pietro Polara: non a caso dimostrò sempre con orgoglio di aver fatto parte della celebre “scuola medica” dell’ ex Contea. La sua carriera decollò a Napoli, capitale del Regno borbonico e allora all’ avanguardia in Italia nel settore ospedaliero. Per le sue eccezionali capacità diagnostiche e di cura affrontò con successo l’ epidemia di colera del 1835-37 e fu chiamato a dirigere gli Ospedali degli infetti di Brancaccio e Granili, ottenendo dal re Ferdinando II la nomina a medico di corte. Numerosi e molto citati sono stati i suoi studi sulle malattie cerebrali e sulla “quarantena” come profilassi da aggiornare ma ancora insostituibile nelle epidemie. Nel 1848 il governo inglese lo volle come speciale consulente per bloccare la propagazione della “peste orientale” a Malta. Si era alla vigilia dell’ apertura del Canale di Suez e l’ auspicato aumento dei traffici mercantili si scontrava con le cicliche emergenze sanitarie provocate dalla cosiddetta “febbre gialla”.
Le relazioni di Carbonaro al Congresso degli scienziati italiani del 1846 e al Simposio internazionale di Parigi del 1851 dimostrarono la possibilità di conciliare la salvaguardia della salute pubblica con gli interessi dell’ economia, attraverso un uso flessibile delle “quarantene” (da 20 a 50 giorni) affiancate da aperture selettive del commercio in base al monitoraggio dei quadri nosologici. L’intensa attività professionale cominciò tuttavia a sfiancare la sua forte fibra e per le sempre più gravi crisi asmatiche ritornò a Ragusa nel 1857 dove ebbe modo di fondare la chiesa di S. Francesco di Paola, trasferendosi infine a Modica per concludervi la sua vita l’ anno dopo . Il suo sepolcro si trova nella chiesa di S. Maria di Betlem. Di lui ha scritto un breve profilo biografico Michele Pennavaria nel 1896. Un grande “ibleo” da non dimenticare.
Giuseppe Barone